martedì 25 settembre 2018

ACCOGLIENZA AI MIGRANTI, "LA LEPRE" PERDE IL RICORSO AL TAR CONTRO LA PREFETTURA: CARENZE STRUTTURALI E SOVRAFFOLLAMENTO

La Lepre di Sottomarina ha perduto il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale avanzato contro la Prefettura di Venezia, che nel luglio scorso aveva revocato il rinnovo della convenzione per ospitare nello stabile di strada Madonna Marina alcuni migranti inseriti nel programma di accoglienza. Carenze strutturali e sovraffollamento, testimoniati da diversi sopralluoghi dell’ULSS 3 Serenissima, avevano fatto propendere il prefetto per la decisione di non continuare l’esperienza iniziata nel giugno 2016. La ricorrente Loredana Boscolo Marchi, titolare della Lepre, ha visto il ricorso in parte respinto per la riscontrata assenza dei miglioramenti pure annunciati, in parte giudicato inammissibile per difetto di giurisdizione: secondo il TAR la penalità del 10% rispetto all’importo dovuto dalla Prefettura a far data dal 1° agosto scorso (e fino al 12 settembre, giorno della sentenza) va discussa in sede di giudizio civile e non amministrativo.
Tuttavia, obiettano alla Lepre, i migranti affidati sono ancora alloggiati nella struttura: se la situazione fosse così precaria avrebbero già dovuto ricollocarli, cosa non avvenuta. Tra l’altro - si afferma – vengono erogati i pasti gratuitamente, dal momento che l’Ufficio Territoriale di Governo non ha ancora provveduto a saldare l’erogazione di denaro secondo convenzione. Le perplessità riguardano anche il fatto che lo scorso luglio il sindaco Ferro aveva anche dichiarato pubblicamente, attraverso un comunicato del Comune, che tutte le strutture del territorio sono considerate idonee ad accogliere. Nell’attesa che l’avvocato Carlin valuti le contromosse dell’impresa di Sottomarina, vale ricordare come lo scorso 5 settembre era scoppiato il caso di alcune famiglie africane, ben inserite in un immobile del centro storico di proprietà sempre della Lepre, che erano state allontanate dalla Prefettura -apparentemente senza motivo- in due Comuni del Veneto Orientale, dove la situazione era ben più disagevole rispetto all’avvio di integrazione praticato in città.

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